Vi segnaliamo che, come ogni anno, anche questo 20 luglio saremo in Piazza Alimonda.
La proposta semplice, pratica, immediatamente applicabile, universale che ha la possibilità di scardinare le attuali modalità di produzione è quella del prezzo sorgente. Il prezzo sorgente è quello che i produttori fissano al momento di vendere il loro prodotto. La semplice informazione derivante dall’applicazione in etichetta – o in controetichetta – del prezzo sorgente è in grado di rendere tracciabile, visibile, evidente, certificabile la catena commerciale con i relativi ricarichi. […] ed evidenzia i meccanismi di appropriazione e di distribuzione della ricchezza che avvengono in tutta la filiera del prodotto, dalla produzione materiale al consumo. Il prezzo sorgente allude e rende concretamente possibile che altre modalità di produzione, di commercio e di consumo siano pensate ed esperite.
[…] Nell’attuale modalità di produzione vige un antagonismo profondo e artato tra consumatore e produttore. […] La produzione è sconosciuta al consumatore tanto quanto il consumo è sconosciuto al produttore. Ambedue soggiacciono ai saperi e ai poteri della lunga catena commerciale che si frappone fra di loro, li domina e li sfrutta. […]
Ma consumare non è altro dal produrre. È il dodicesimo, provvisoriamente ultimo, atto della sensibilità planetaria. Le scelte e le modalità del consumo, in particolare quelle che intendiamo concorrere a creare, costituiscono un circuito di coproduzione che le legano indissolubilmente alla produzione.
Il ciclo produttivo non si interrompe con la materia prima e la materia seconda. Qualsiasi prodotto continua a costruire il suo circuito di relazioni sociali e ambientali anche dopo che è stato manufatto. Pensare che la distribuzione e il consumo non facciano parte del ciclo produttivo del prodotto è fuorviante. […] Nella promozione, distribuzione e consumo il prodotto acquisisce invece il suo elemento universale, non afferisce più a un rapporto privato o tra privati, ma […] definisce il suo campo di relazioni universali, sia di carattere sociale sia di carattere ambientale, per le modalità con le quali viene promosso, distribuito, venduto e consumato. […] le regole e le modalità della produzione materiale devono sottostare sempre più alle forme, e ai ricatti, della grande distribuzione. […]La critica, lo sciopero e il sabotaggio sono armi necessarie nei confronti della grande distribuzione, senza dimenticare che è stolto rivendicare in modo pedissequo la bellezza della piccola distribuzione. I danni e i raggiri della grande distribuzione si trovano a volte ingigantiti anche nella piccola.[…] Urge il decimo atto della sensibilità planetaria/ribelle: produrre idee semplici, efficaci, immediatamente applicabili e universali che siano in grado nel futuro presente di trasformare i rapporti di produzione, o almeno di rendere visibili le contraddizioni degli attuali rapporti di produzione.
L’idea – che è anche l’undicesimo atto della sensibilità planetaria – della massima tracciabilità dei prodotti e dei prezzi risponde a questi requisiti. La distribuzione attuale cela totalmente i lunghi percorsi della catena produttiva e commerciale. Noi non siamo in grado di sapere dove, chi, come e a quali prezzi si produce materialmente ciò che acquistiamo. È un’ignoranza non da poco che ci consente tuttavia di capire che nel marchio del prodotto che compriamo si manifesta un’attività di espropriazione gigantesca che si compie a livello mondiale a danno dei produttori e dei consumatori. L’esproprio della conoscenza dei prodotti e dei prezzi della catena commerciale sottintende non solo un furto del sapere, un’appropriazione indebita del lavoro altrui, ma anche una rapina compiuta nell’ossequio di tutte le regole economiche internazionali. La rapina con la quale nell’attuale modalità dei rapporti di produzione la distribuzione della ricchezza privilegia il circuito commerciale a danno di quello della produzione materiale e del consumo. Costruire dunque modalità diverse di distribuzione e di commercio, che riducano la distanza tra produttori e consumatori e ne favoriscano, laddove è possibile, il rapporto diretto, è fondamentale. In tutto il mondo si vanno costruendo esperienze di gruppi d’acquisto. In Italia si vanno diffondendo i gruppi d’acquisto solidali, i Gas, che stanno compiendo una meritoria attività pionieristica nel campo. Sono esperienze diverse e a volte dissimili che vanno diffuse e potenziate.
Il movimento di riruralizzazione è un atto di critica profonda alle modalità del vivere e del produrre della città contemporanea. La nuova contadinità non nasce semplicemente dalla terra, ma si trasferisce sulla terra con questa radicalità d’esperienza. […] La nuova soggettività contadina conosce la città meglio di chi cii vive, ha relazione con le sue reti produttive superiori a quanto ne abbia un lavoratore urbano.[…]Grazie a questo doppio movimento nomadico siamo in grado di ripensare ai modelli di vita, di produzione e di consumo sia della città che della campagna. È un ripensamento che non si ferma alla critica dell’asistente, ma che costruisce il futuro di adesso nella prassi di trasformazionedei processi produttivi. È questo il motivo per cui abbiamo condensato in alcune proposte pratiche, concrete, immediate, di applicazione internazionale, tutto il segno del nostro sentire. Per la realizzazione di queste proposte non facciamo leva sulle leggi, sui governi, sugli stati. La sensibilità planetaria non può essere realizzata per decreto nè può arricchirsi al riparo di qualche legge. Le leggi prevedono che qualcuno le imponga ai sottoposti. È l’ottavo atto: la sensibilità planetaria è facoltà di ciascuno, ma non si può imporre a nessuno.
[…] Il nono atto della sensibilità planetaria afferma il principio di responsabilità e l’autocertificazione. Nessuna ignominia può essere tollerata solo perché si ripara all’ombra delle leggi. La legge non sostituisce, né copre il deficit di responsabilità con cui ciascuno e tutti ci rapportiamo al mondo sia come produttori sia come consumatori. È questo il motivo per il quale abbiamo evitato di redigere un altro protocollo universale o di invocare un’ennesima certificazione legale. Abbiamo optato, al contrario, per l’autocertificazione che chiediamo a tutti i produttori di definire con cura e di rendere chiaramente visibile. Ci siamo limitati a proporre le voci riguardanti ogni singolo atto produttivo dalle cui modalità ciascuno può farsi un’idea precisa non solo del prodotto finale ma anche del produttore e della filosofia che ispira la sua attività.
Nel protocollo di autocertificazione è possibile leggere con assoluta chiarezza la materia prima – lo stato dell’aria, della terra, del seme, della pianta – e la materia seconda – il rapporto tra i produttori e la materia prima – della produzione.
Il grumo d’interessi e di azioni che si è formato tra grandi multinazionali, apparati politici di ogni Paese e principali istituti di credito ha favorito un’evolversi del sistema planetario di dominio che con ritmi implacabili distrugge risorse, ambienti, relazioni. Ciò ha favorito per contrappeso l’emergere di tutti i localismi e di molti identitarismi i quali non possono che rimanere come elementi residui, materiali di scarto che la globalizzazione trasporta con sé.
Il sesto atto della sensibilità planetaria/ribelle è il rifiuto netto, inderogabile, di ogni localismo politico e identitario. Il locale che si contrappone al globale non è nient’altro che il suo gemello stupido, rancoroso e noioso.
[…] La sensibilità planetaria rifiuta ogni localismo e concorre a costruire e a diffondere, contro la globalizzazione, prassi e idee internazionali, cosmopolitiche, apolidi che hanno come fulcro, nella modificazione dei rapporti di produzione, la doppia centralità della relazione con l’ambiente e con le società. […] L’autoctonia di un prodotto della terra non ha nulla a che fare con la ricerca mitologica delle origini, su cui accampare qualche stolto diritto. In tutti i prodotti della terra ciò è impossibile. L’agricoltura nasce dal nomadismo. Dal nomadismo degli uomini e dal nomadismo delle piante. Tutto ciò di cui ci alimentiamo ha un’origine alloctona. Invochiamo invece il diritto/dovere di non impoverire la biodiversità del pianeta, la necessità di accorciare la catena alimentare, la possibilità di costruire una nuova contadinità fondata sulla massima tracciabilità dei prodotti e dei prezzi, sulla cura per la terra e per le relazioni sociali che vi si instaurano.
Ri-ruralizzare il mondo partendo da una sensibilità antigerarchica che ci fa percepire la t/Terra come casa propria, contro l’attaccamento conservatore e l’invenzione localista delle radici, contro il rapporto razzista sangue-suolo di infausta memoria. Per un’agricoltura cosmopolitica, utopica e – con un ossimoro concettuale – per un’agricoltura nomade, per un rapporto nomade con la Terra: sentirsi a casa propria in ogni luogo della Terra, su ogni zolla di terra. Un’idea che viene da lontano. Forse qualcuno ricorda ancora quel canto proletario dell’Ottocento: “Nostra patria è il mondo intero, nostra idea la libertà…”.
Partendo da questi presupposti, la contadinità planetaria è il settimo atto della nuova sensibilità: il miglior modo per aver cura del pianeta è prendersi cura, personalmente e collettivamente, di ogni sua forma di vita e di ogni relazione tra organico e inorganico. È questo anche il miglior principio produttivo. La produzione di merci anche in agricoltura è l’elemento più enfatizzato del processo produttivo. Ma la merce è l’elemento simbolico finale di un processo che va seguito dalla fonte, dalla sorgente produttiva. La produzione sorgente indica lo stato dell’aria, della terra, del seme, della pianta. Tutto ciò deve essere ritenuto materia prima; l’equilibrio e la qualità della produzione discendono dall’equilibrio e dalla qualità della materia prima. La materia seconda della produzione sorgente riguarda il rapporto tra i produttori e la materia prima. […] Il movimento di riruralizzazione è un atto di critica profonda alle modalità del vivere e del produrre della città contemporanea. La nuova contadinità non nasce semplicemente dalla terra, ma si trasferisce sulla terra con questa radicalità d’esperienza.
Il gigantismo industriale è un effetto dell’economia drogata delle grandi multinazionali.
La bolla che trascina per il mondo i suoi effetti devastanti sull’economia, sui mercati finanziari e tra le società di tutto il pianeta è un effetto del gigantismo industriale delle grandi multinazionali.
[…] Mano a mano che diventano più grandi assorbono aria e acqua in quantità spropositata, distruggono le foreste, rendono precarie le altre forme di vita. Il gigantismo industriale si comporta esattamente così. La sua malattia deriva dal male che ha arrecato al mondo: squilibri mostruosi, città invivibili, ambienti devastati. Il mondo costretto a divenire una fabbrica d’infelicità si va ribellando ai suoi ciclopi, non sopporta più le loro angherie.
La deindustrializzazione dell’agricoltura che pretendiamo non è l’eliminazione delle macchine nei processi produttivi. Deindustrializzare l’agricoltura significa dare priorità alla t/Terra, alla Terra intesa come universo cosmico e alla terra intesa come zolla che si calpesta, sulla quale si cammina, si produce. […] Il maiuscolo della Terra – il pianeta, i suoi ambienti, i suoi abitanti, le relazioni tra di loro, il luogo di possibilità della vita – con il minuscolo della terra – il luogo nel quale si vive e si producono relazioni sociali, produttive, culturali, affettive, il luogo delle esistenze individuali – non possono non avere relazioni di coerenza e di conseguenza.
È questo il quarto atto della sensibilità planetaria: avere rispetto per la sensibilità della t/Terra. Tutti i processi produttivi che, con o senza l’uso delle macchine, non tengono conto della sensibilità della terra o deliberatamente la distruggono, vanno combattuti con la terra, per la Terra. L’attività di produzione agricola è sempre, occorre ricordarlo, un’attività di coproduzione, uno scambio continuo e fecondo della relazione uomo-terra. […]
Cibarsi vuol dire avere sensibilità di tutto ciò, cibarsi non vuol dire soltanto alimentare il proprio corpo, ma nutrire la socialità, le reti di saperi, i piaceri che ruotano intorno alla sua attività. Il prodotto della terra molto prima di essere una merce è il frutto di una doppia relazione con gli uomini e con l’ambiente.
Il terzo atto della sensibilità planetaria/ribelle è quello di concepire che l’insensatezza planetaria deriva dai rapporti di produzione, ovvero dalle modalità con le quali gli uomini producono e si relazionano tra di loro. […] Negli ultimi due secoli siamo stati abituati a ragionare sul rapporto tra macchinismo industriale e ambiente. La soglia d’indifferenza verso l’impatto ambientale del macchinismo è stata superata da tempo. […] le modalità del produrre insistono a riprodurre in crescendo una completa indifferenza al rapporto tra materie prime e produzione e ancor di più una totale indifferenza alle relazioni sociali.[…] Il macchinismo ha dimostrato che si può produrre tutto praticamente senza niente. Ma quel tutto che si produce è l’altra faccia del niente. […] Il sapere di laboratorio non riproduce la vita (di una pianta, di un frutto, di una qualsiasi forma della vita), ma la sua rappresentazione nel commercio mondiale. I prodotti industriali agroalimentari sono nient’altro che il simulacro macchinico della vita, l’effetto della distruzione delle relazioni sociali in agricoltura e il surrogato sintetico dello scambio uomo-natura.
Il secondo atto della sensibilità planetaria è stato quello di concepire l’insensatezza della realtà, non più come deficit di raziocinio di menti peregrine ma come deprivazione sensoriale, come difficoltà o impossibilità di esperire nella socialità planetaria la nostra sfera sensitiva. Sensibilità planetaria è dunque atto di resistenza contro la distruzione dei sapori, contro l’annichilimento dei saperi ma anche contro la deprivazione sensoriale che ci porta all’ottundimento della nostra facoltà di udire, di vedere, di tastare, di gustare e di annusare. […] La sensibilità planetaria è dunque riaffermazione della centralità sensoriale e nel contempo ricentralizzazione del senso dell’agire.
Il primo atto di sensibilità planetaria/ribelle è interrogare il rapporto tra saperi e sapori della vita. Un rapporto che rischia, come tante altre cose della nostra esistenza, di scivolare nel laboratorio di marketing dell’industria agroalimentare contemporanea la quale cerca di surrogare la distruzione metodica, progressiva, scientifica dei sapori della vita presentando i suoi prodotti innaffiati di saperi totalmente inventati o reinventati. […]
t/Terra e libertà/Critical wine (t/Tl/cw) vuole costruire una difesa pratica della vita materiale, contro le nocività politiche, culturali, sociali che svalutano l’esperienza sensoriale, le capacità dialettiche del linguaggio, la coscienza del vissuto individuale e dei processi storici collettivi. Costruire in maniera cooperativa forme e strumenti di comunanza, condurre al riconoscimento della cosa comune, dall’aria all’acqua al cibo fino alla produzione informatizzata e alle reti.